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Boom di emigrazioni: crisi e mancanza di lavoro svuotano Montelepre

Il problema è sempre lo stesso: la ricerca di un lavoro. Con questa motivazione quasi cinquanta monteleprini quest’anno hanno lasciato il paese alla volta di altre località italiane ed estere. E’ il peggior dato dall’inizio della crisi economica. Il 2014 sembra essere l’annus horribilis: 45 persone, fra uomini e donne, si sommano a chi è già andato via da qualche anno. Un numero destinato a crescere con l’arrivo del 2015.

E’ la nuova emigrazione, quella degli anni dieci del secondo millennio che non risparmia nessuna cittadina del Sud; che pesa di più nelle realtà in cui il terziario la fa da padrone, o meglio la faceva, per il quale quasi due generazioni si sono preparate a rimpiazzare chi negli uffici è approdato di fortuna dopo aver trascorso parte della vita in campagna o nelle botteghe artigianali. Alla prima è andata bene, alla seconda il peso del fallimento del “prenditi un pezzo di carta”.

Se fino a qualche tempo fa l’impossibilità di trovare un lavoro dietro ad una scrivania, comodo, sicuro, portava a ripiegare su un impiego nell’edilizia o nel commercio, oggi non c’è settore che sfugge all’impoverimento. Chi può investire qualche risparmio di famiglia tenta la strada dell’esercizio commerciale. Ma spesso è un buco nell’acqua. Cosa fare allora? Di che lavoro si può vivere a Montelepre?

Non c’è giovane, studente, artigiano, operaio, imprenditore a cui per ora non passi per la mente l’idea di mollare tutto e partire. Dove andare, cosa fare? Ovunque, basta che ci sia un lavoro che permetta di campare. Sembra un’epidemia: tutti vogliono scappare. Pochi sono quelli che lasciano Montelepre per inseguire un sogno: la maggior parte dei nuovi emigrati fugge per necessità. E a complicare la situazione, a far gridare “ME NE VADO”, ci si mettono una politica scollata dalla realtà e il macchinoso apparato burocratico di Stato, Regione, Comune, che spegne sul nascere la fioca luce di una timida imprenditoria; unica via di fuga alla carenza di impieghi.

CHI EMIGRA – Senza considerare gli studenti fuori sede, i lavoratori pendolari pluri-regionali, o chi mette fra i bagagli una laurea per inseguire una carriera professionale di prestigio, o chi, ancora, intravede nelle forze armate un’ancora di salvezza, i nuovi emigrati sono dei disperati: ex Partite Iva stremate dalla pressione fiscale, artigiani impotenti contro il Made in China, operai vittime di licenziamento, giovani con in tasca un diploma senza valore. Per loro un impiego vale l’altro. Cameriere, addetto alla pulizie, manovale, fattorino: va bene qualsiasi cosa. L’importante è lo stipendio e un contratto regolare: miraggi in una terra che può offrire per lo più paghe a mesi alterni e lavoro nero, dove in assenza di questi la sopravvivenza è garantita dal possesso di almeno un requisito: o un sussidio statale (una pensione) o una casa di proprietà. Se non ce l’hai sei davvero nei guai.

DOVE SI TRASFERISCONO – I più giovani varcano le Alpi. Talvolta a Londra come a New York o a Miami. Chi invece si trascina la famiglia resta dentro i confini italiani. Ma non è sempre così. Proprio nel 2014 una parte dei cercatori di lavoro ha puntato il timone verso la Svizzera e la Germania. Quasi sempre possono contare su una rete solidale di familiari e conoscenti che li aiuta nell’ambientamento; è la “start-up” dell’emigrato.

Alcuni mancano per lunghi mesi, poi tornano alla base una-due volte giusto per riabbracciare i familiari o risolvere qualcosa lasciata in sospeso. La rimpatriata quasi sempre finisce per fare proselitismo: per convincere chi finora ha desistito; per infondere sicurezza in chi ha seguito dal monitor di un computer la nuova avventura. Si servono infatti di Facebook e Skype per mantenere costante il contatto con famiglia ed amici. Come costante è il dilemma di chi rimane in un paese sempre più vuoto, fatto di case sfitte e strade deserte: restare o partire?

Boom di emigrazioni: crisi e mancanza di lavoro svuotano Montelepre ultima modifica: 2014-11-24T07:00:01+01:00 da Giacomo Maniaci
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