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“Mazza e scanneddu”

mazza e scannedduQuando si giocava a Mazza e scanneddu non c’era bisogno della raccolta differenziata. Le uniche bottiglie di vetro erano quelle del latte che si riportavano vuote nella putìa per prendere quelle piene, la Coca cola fortunatamente ancora non si conosceva e l’aranciata si faceva con le bustine nella brunnìa dell’acqua. La poca spesa che si faceva si metteva nella sporta di  tessuto, l’alluminio si utilizzava solo per le padelle e  la carta del pane si utilizzava perfino nel retrè, i giornali non pervenuti ed il cartone si è cominciato a vedere quando si accattarono le prime lavatrici da don Mariano che era l’equivalente dei negozi Expert di oggi. E quando le cose si sfasciavano non si buttavano perché Don Mariano le aggiustava!

Considerato che tutto il mangiare che restava (in verità pochino!) veniva destinato a galline e conigli che davano carne e uova, quei pochi chili all’anno di munnizza che una famiglia produceva andavano a finire al munnizzaro  che si trovava rigorosamente alla periferia del paese e che non era un luogo tossico ma un campo di ricerca. Ogni tanto si andava lì e si trovava sempre qualcosa di interessante ; si cercava a mani nude e pensate che nessuno hai mai preso una benché minima infezione! Ma torniamo alla Mazza e Scanneddu.

Se nella strada c’erano robbi stinnuti  o qualche famiglia stava facendo le bottiglie  era tassativamente vietato giocare a pallone e quindi si optava per attività leggermente più tranquille: o si giocava  a sparari o  con le ciampedde o se debitamente attrezzati a Mazza e scanneddu che rappresentava la versione siciliana del Baseball americano. Per giocare occorreva un quartiere, due pezzi legno e non avere impegni (tipo lezioni di danza o visite mediche) per diverse ore.  La mazza era un pezzo di legno dritto e  ben lavorato di circa 50 cm di lunghezza e diametro come un bastone, mentre lo scanneddu era più corto (20/30 cm.) e doveva essere appuntito alle due estremità. Si giocava in due e stranamente non si spraceva; per decidere chi cominciava il gioco c’era un preliminare: si poggiava  la mazza tra due pietre e a turno si tirava con lo scanneddu per colpirla. Se la mazza scendeva completamente a terra valeva 100 punti se invece restava a metà cioè obliqua fra le pietre valeva 50 punti. Naturalmente chi faceva più punti cominciava.

Si prendeva la mazza e con grande concentrazione bisognava colpire una punta dello scanneddu per farlo alzare a mezz’aria e quindi con grande forza  e precisione colpirlo mentre era in sospensione  e mandarlo il più lontano possibile; era consigliato, in questa delicata fase , di non stare molto vicino al colpitore perché in caso di liscio  ci si poteva prendere una mazzata in faccia che non te la scordavi per tutta la vita. Dopo il primo lancio e avere messo una pietra per segnale dove erano finito lo scanneddu,  toccava al secondo giocatore che ripeteva la procedura e lanciava. Se le distanze erano misurabili ad occhio e si vedeva che uno prevaleva chiaramente sull’altro si chiudeva il set e si riprendeva la partita, se invece non si poteva giudicare visivamente si ricorreva ala misurazione. Si usava la mazza come unità di misura e si contavano quante mazze avevano totalizzato rispettivamente i due avversari e si assegnava la vittoria.

Era un gioco di grande abilità perché bisognava sincronizzare forza e precisione nel colpo ma anche avere una visione lucida del territorio in quanto bisognava decidere anche in quale direzione lanciare per evitare gli ostacoli (tipo le teste degli amici o le cantonere) e non fare fermare prima lo scanneddu.

Naturalmente era un gioco per ragazzi più grandicelli e i bambini cchiù nichi  per il momento si dovevano accontentare di giocare a Muffa, a Scabrù  o magari All’incanto e scanto.

Alla fine della partita che si doveva svolgere necessariamente alla luce del giorno e quindi terminava all’imbrunire, dopo una lunga bevuta al cannolicchio del quartiere tutti i protagonisti dei giochi del pomeriggio si riunivano e, in mancanza di convocazione genitoriale urgente, si decideva il da fare : se quella sera si era troppo stanchi si faceva il Gioco della Cucuzze che era riposante ma palloso o altrimenti  si continuava l’avventura e si giocava a  Ammucciaredda fino alla necessaria minaccia di nirbati premurosamente promesse da qualche “papino” che si doveva alzare all’alba per andare a vinniggniari  e con quel burdellu che saliva dalle strade non poteva dormire.

“Mazza e scanneddu” ultima modifica: 2016-07-18T11:05:36+02:00 da Nino Plano