“La reliquia può essere un’arma a doppio taglio: uno strumento d’adorazione, ma se così fosse ditelo, io vado via. Quella reliquia ci deve interpellare. Si trova lì perché apparteneva a un corpo vivo, che è stato ucciso dalle forze del male, che hanno odiato ciò che padre Puglisi rappresentava, cioè il messaggio d’amore del Vangelo”.
Lo ha detto Rosaria Cascio, insegnante palermitana, cresciuta e formatasi con padre Giuseppe Puglisi nel “Centro Diocesano Vocazioni”, tra gli anni 80 e 90. Oggi, assieme a tanti altri, offre una diretta testimoni dell’opera del beato Padre Pino Puglisi, il cui reliquiario si trova da ieri a Montelepre, nella chiesa di Santa Rosalia, in festa per la ricorrenza della “Santuzza”, il prossimo 4 settembre. E’ la prima tappa di un pellegrinaggio che porterà l’urna, contenente un frammento osseo del Beato, nelle chiese della diocesi di Monreale. Rimarrà a Montelepre fino al prossimo 6 settembre. “Padre Puglisi è stato ucciso dalla mafia – ha detto Rosaria Cascio – perché la mafia odia il Vangelo”.
“E’ giusto dire che padre Puglisi non è stato un prete antimafia, concordo. E’ la mafia contro il Vangelo, che odia chi nella propria vita costruisce azioni evangeliche”. “Io l’ho conosciuto nel ’78 ed è stata un’esperienza esaltante. La parola “servizio” era vissuta fino in fondo. Dopo Godrano, andammo in un ospedale psichiatrico: padre Puglisi ci insegnava poco a poco che dalle parole bisognava passare ai fatti. Abbiamo servito con grande amore i malati di mente”.
“Ci ha insegnato cosa significa amare in senso cristiano. Da quella esperienza ciascuno di noi ha maturato la propria vocazione: all’università, nella Chiesa o nel mondo del lavoro. Era uno tosto padre Puglisi, ti conduceva per mano senza mai indicarti la strada, perché sapeva che ognuno di noi aveva dentro qualcosa”.